“Il giorno della civetta”

Mar 26, 2011

Leonardo
Sciascia nel suo formidabile “Il giorno della civetta” divide le
persone in cinque categorie. E’ un pezzo celeberrimo, ma sempre gradevole da
rileggere e meditare

 

“…l’umanità, e ci riempiamo la
bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque
categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando)
pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché
mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora
più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie
che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più in giù: i piglianculo, che
vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere
come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più
espressione di quella delle anatre…
Lei, anche se mi inchioderà su queste carte
come un Cristo, lei è un uomo… Anche lei, disse il capitano con una certa
emozione.” Questo era il colloquio fra il capo della mafia locale, don
Mariano Arena e il capitano dei carabinieri, Bellodi, nativo di Parma,
splendido ed incorrutibile investigatore. Sciascia descrive Bellodi come un
ufficiale per il quale “l’autorità di cui era investito considerava come
il chirurgo considera il bisturi: uno strumento da usare con precauzione, con
precisione, con sicurezza.” Non casualmente il grande giornalista
Francesco Merlo paragonava Bellodi a Dalla Chiesa, del quale aveva il carisma,
la volontà, la gentilezza ed anche a Falcone: “Sicuramente Bellodi è già
Giovanni Falcone, sereno e lucido, energico e prudente, un uomo di curiosità
universale che tuttavia sa capire don Mariano Arena, farsi uguale a lui, come i
tirannicidi che a loro modo somigliano ai tiranni… E’ qui, per esempio, che
il carabiniere esce dalle barzellette e diventa un eroe illuminista, un
filosofo umanista capace persino di smascherare la mafia con un trucco di
sapienza letteraria, il verbale di una falsa confessione, che è la grande idea
sciasciana della letteratura come forma nobile del vivere obliquo, la cultura
che occupa il terreno in cui si alimenta la mafia, ne prende il posto, la
cultura e la ragione al posto della mafia che è anch’essa un vivere obliquo, ma
torvo”.